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LA FRAMMENTAZIONE E LA PERDITA D'IDENTITÀ CULTURALE
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A causa delle situazioni politiche, col tempo, il Catalano ha cominciato a formare una lingua a sé, mentre l'Occitano, diviso in dialetti regionali, a loro volta spezzettati in via via sempre più particolaristiche
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varianti locali, ha, pian piano, perduto una parte della propria dignità letteraria.
In Occitania spesso la terra sfuggiva alle regole feudali, la nobiltà non era tutta di origine franca ed inoltre non esisteva la servitù della gleba. Vigeva il diritto romano (e non quello germanico come nel nord), si era formata una classe che potremmo definire "borghese" abbastanza colta e dedita ai commerci, si intrattenevano forti rapporti culturali e scambi di diverso tipo con il mondo islamico e con gli ebrei mentre le università lasciavano ben poco spazio alle dispute teologiche di ceppo cattolico, privilegiando le scienze.
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"Il declino dell'occitano comincia all'inizio del XIII secolo con la Crociata contro i Catari".Con l'occasione della guerra santa gli occupanti francesi mettono al bando la nobiltà occitana a partire dal 1212 ma proprio l'anno successivo si compie l'unica, brevissima, unificazione occitano-catalana guidata dal Conte di Tolosa e da Pietro II di Aragona.
Nel settmbre 1213 però con l'incredibile sconfitta di Muret la speranza di uno stato d'Oc svanisce.
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Sigillo di Raimondo VI Conte di
Tolosa. Sullo scudo appaiono la
croce d'Oc e, sulla destra, la
stella a sette punte.
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Le due nazioni saranno divise per sempre e gli occitani non riusciranno più a contrapporsi per lungo tempo alla colonizzazione militare e culturale francese
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nonostante che nel 1219 riescano a rimpossessarsi di Tolosa.
La caduta di Montsegur, dove si erano rifugiati 200 catari con le proprie famiglie, chiude la crociata contro gli Albigesi (da Albi, la capitale dell'immaginario stato occitano). I malcapitati furono tutti arsi vivi: si calcola che gli occitani che persero la vita durante la crociata furono pari ad 1/6 dell'intera popolazione. Dopo alterne vicende, la Francia riuscirà ad annettere gran parte degli stati occitani incominciando la lunga opera di francesizzazione dei territori del sud negando loro la propria lingua, la propria cultura e la libertà religiosa.
Nel 1539 il re di Francia Francesco I bandisce l'occitano dagli atti amministrativi; ciò nonostante la lingua d'oc conserva fino al XVII secolo uno status ufficiale nel Regno di Navarra" [ 1 ].
Importante anche cogliere come, nella storia delle genti d'Oc, spesso la religione sia stata fonte di distruzione di intere comunità e delle identità culturali: i Catari (dal greco "puri"), che predicavano il Vangelo di Giovanni ed intendevano vivere in povertà la propria dottrina rigorosa; i Valdesi (molte delle Valli Occitane a cavallo tra le province di Cuneo e Torino sono state valdesi in passato, alcune sono riuscite a conservare la propria fede sino ai giorni nostri, con grande giovamento dal punto di vista non solo religioso ma culturale e di coscienza d'appartenenza); Calvinisti; Ugonotti, tutti ben presenti nella storia delle Valli e tutti uniti da un destino di sanguinose crociate organizzate da parte della Chiesa Cattolica o ancora vittime dei giochi di potere di stati e staterelli dell'epoca. Nonostante gli occitani siano per loro natura sempre stati tolleranti la propensione a mettere in discussione alcuni precetti e la moralità falsa della Chiesa Cattolica nonchè una certa qual incapacità ad imporsi sul piano militare li portò più volte alla rovina anche a livello politico e culturale.
La stessa storia del nostro paese (Peizana) è stata segnata per circa tre secoli, a partire dalla fine del 1400, da cicliche crociate contro Valdesi (detti "barbat") prima ed Ugonotti in seguito, fedi che facevano proseliti nella porzione di territorio compresa tra i confini con Sanfront e quelli con Oncino, soprattutto nelle borgate di Prato Guglielmo (Prà Vierm).
SE VUOI SAPERNE DI PIU' SULLE PERSECUZIONI DEI VALDESI
"IN VAL DI PEIZANA" CLICCA QUI
" I primi testi letterari in lingua d'oc delle Valadas Occitanas sono del XV secolo e provengono dalle vallate di religione valdese Pellice, Germanasca e Chisone. Sono traduzioni bibliche e poemetti morali da cui emerge una straordinaria somiglianza con l'occitano parlato oggi nelle valli. Nell'Ottocento Frederic Mistral con altri poeti fonda un movimento, il Felibrige, destinato a riportare in auge la lingua d'Oc, soprattutto nel suo dialetto Provenzale. Capolavoro di Mistral è il poema Mirèio che nel 1904 gli vale il Premio Nobel per la letteratura. Nonostante la rinascita letteraria dovuta al Felibrige, l'identità occitana continua a decadere fino a metà del Novecento..." [ 1 ].
Un'esperienza importante di una qualche autonomia occitana potrebbe essere stata in qualche modo la cosiddetta " Repubblica degli Escartouns", associazione di comunità alpine che potettero godere di una certa libertà (amministrazione della giustizia, diritto di battere moneta gestione del territorio), creata nel 1244 da Oulx, dalla Val Chisone, dal Brianzonese, dal Queiras e dall'Alta Val Varaita (Casteldelfino, Bellino e Pontechianale, la cosiddetta "Chastelado"). L'interessante esperienza di autogoverno finì col trattato di Utrecht del 1713, quando gli Escartouns furono suddivisi tra Piemonte e Francia.
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Anche lo stesso Marchesato di Saluzzo può essere visto come uno stato occitanico, il dialetto parlato a corte è stato per molto tempo di ceppo occitano o quantomeno misto. Le popolazioni delle Valli Infernotto, Po, Varaita e Maira erano (ed in gran parte sono tutt'ora) occitanofone. Nel XIII sec. il Marchesato unificava praticamente tutte le Valli Occitane a sud del Po tanto da poter esser visto come la capitale occitana al di qua delle Alpi. I soliti Savoia posero fine nel 1588 all'indipendenza di quello che avrebbe potuto essere un vero e proprio stato d'Oc anche nell'era moderna.
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Se in Italia lo Stato non ha sicuramente aiutato i montanari occitani a mantenere la propria lingua e la propria cultura, in Francia, sin dalla Rivoluzione Francese, la lotta di Parigi contro l'identità del Midì (spesso agricolo ed arretrato e tuttavia così ricco di manodopera e di risorse naturali) è stata ben più serrata. "Volontà politica, funzionari della pubblica amministrazione, istruzione elementare obbligatoria (nella lingua dello Stato), catechismo e predicazione religiosa, servizio militare, emigrazione, mezzi d'informazione e mentalità consumistica hanno appannato l'antica autonomia culturale, preparando il terreno per la colonizzazione esterna… [ 2 ]". Colonizzazione che non è tardata: se solo nel dopoguerra i giovani di tutte le Vallate si ritrovavano nelle feste di borgata a cantare
i canti che si tramandavano da generazioni, a ballare i balli antichi, avevano una propria e ben precisa cultura del lavoro (in parte stagionale e precaria fin che si vuole, ma fortemente legata al territorio), appena una decina di anni fa tutto ciò era spesso già un ricordo.
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A scuola, al posto di insegnare le radici nobili della parlata delle Valli tramite lo studio dei troubadours, si è sempre imposto l'uso dell'italiano, vietato quello dell'occitano (negandogli qualsiasi dignità letteraria, che pur ha) e,
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Adesivo di protesta contro la colonizzazione
da parte dello stato francese dell'Occitania
(fotografato a Carcassona)
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talvolta, tollerando quello del più fine piemontese.
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Tutto finito, tutto da sacrificare agli idoli del progresso e della globalizzazione culturale?Parrebbe di no, dal risveglio che, partendo da musiche, balli e canti, sembra finalmente cominciare a pervadere tutti gli aspetti della cultura e fors'anche dell'economia delle Valli [ 3 ].
A partire dagli anni '60 in Francia ed una decina d'anni dopo nelle vallate italiane, anche per"merito di François Fontan (teorico etnista di origini guasconi n.1929-+1979), che a metà degli anni '60 si è rifugiato a Fraisse in valle Varaita, dei poeti Barba Toni Baudrier e Sergio Arneodo, anche le Valadas Occitanas riscoprono la loro identità. Nascono il Movimento Autonomista Occitano (M.A.O.), l'Escolo dòu Po e numerose associazioni culturali che si propongono di sensibilizzare la gente" [ 1 ]. Tutto ciò però non riesce ad arrestare la perdita d'identità culturale ed aiutare lo sviluppo di un'economia compatibile con le risorse, le tradizioni e la cultura delle Valli.
E' interessante notare come non fu tanto il ventennio con tutta la sua retorica patriottica e italica a danneggiare la cultura delle Valli, quanto proprio il boom degli anni '60, con le sue (e)migrazioni di massa che, dalle zone più povere d'Italia, ha portato milioni di persone nelle grandi città.
Così, se il meridionale a Torino si accasava quando possibile in zone ad alta densità di paesani, meno importante era fare la stessa cosa per il valligiano. Se era emigrato a Torino, con tutta probabilità già conosceva la città, capiva il dialetto piemontese ed era a poca distanza dal luogo d'origine.
Paradossalmente proprio questi vantaggi furono in parte le basi per la perdita, nel corso di una o due generazioni, della madre lingua. Con poco sforzo egli imparava a parlare il torinese (che aveva sempre sentito da villeggianti o dalla gente di pianura che solitamente riteneva ad un livello economico e sociale più alto del proprio), con sforzi sicuramente più grandi, iniziava a mettere da parte il necessario per migliorare il proprio status sociale e, ogni volta che tornava al paese, si sentiva un po' più torinese.
Ma il grande distacco si ha con la seconda generazione, quella nata a Torino (o Milano, Genova, Saluzzo…), quella che quando è obbligata a andare "lassù" non può che lamentarsi della noia, della mancanza di tutte le "comodità" di città, quella che ha perso la misura del lavoro agricolo e lo disprezza, quella che in un muro in pietra, in un balcone in legno, non vede che miseria ed arretratezza. Non gli è stata insegnata probabilmente la lingua, anzi è già molto se conosce il piemontese.
Di cantare non se ne parla neanche, probabilmente già dalla prima generazione emigrata (lasciamolo agli ubriaconi di "lassù"), il ballo è solo quello liscio per la prima generazione e la discoteca per i più giovani.
Questa probabilmente la situazione per quelli che erano scappati (la maggior parte nelle alte valli: un solo esempio, Ostana passa da 1.200 abitanti prima della 1ma guerra a 8 alla fine degli anni '90).
[ 1 ] da uno scritto di Fredo Valla, scrittore di Ostana, nativo di S.Peyre
[ 2 ] da "Case contadine nelle Valli Occitane" di L. Dematteis
[ 3 ] Il fatto che la rinascita sia iniziata (sul finire degli anni '70) con la rivalutazione delle tradizioni musicali e canore, è tutt'altro che casuale: tutto il territorio di cultura occitana è incredibilmente ricco da questi punti di vista. Un simile panorama, pur essendo quanto mai variegato, potrebbe avere origine, in gran parte, direttamente dalla tradizione musicale medievale trobadorica.
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le parlate di media e bassa valle
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LA STORIA E LA LINGUA D'OC
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